A trent’anni dalla strage: siamo ancora Capaci?

Le immagini della A29 distrutta dall’esplosione 

Partiamo dal fatto che non c’eravamo. Nessuno della nostra generazione (siamo una redazione under 25) era ancora nato quell’infausto pomeriggio del 23 Maggio di trent’anni fa, quando alle 17.58 mezza tonnellata di tritolo apriva l’asfalto della A29 Palermo-Trapani nel momento esatto in cui la percorrevano le Fiat Croma del giudice Giovanni Falcone della sua scorta e dove lo stesso giudice insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti Schifani, Montinaro e Dicillo ha trovato la morte.  

Le vittime: Falcone, Morvillo, Schifani, Dicillo e Montinaro.

Dunque dalla nostra parte non possiamo basarci sul ricordo, inteso come sentimento che lega il vissuto al cuore, alla sfera emotiva, rievocando le sensazioni provate durante quei momenti. E quante volte abbiamo sentito pronunciare la fatidica frase  “ricordo esattamente dov’ero, cosa stavo facendo” da chi era abbastanza cosciente da capire cosa si fosse scatenato in quel pomeriggio che ha segnato la storia recente Repubblicana, e abbiamo provato anche a immedesimarci nelle loro emozioni sempre sperando di non doverci trovare a viverle in prima persona un domani.

Ma lì dove non può arrivare il ricordo ecco la memoria.  Al contrario del ricordo, più sentimentale, la memoria lega i fatti alla mente, alla sfera apollinea. Ed è la memoria che ci restituisce le immagini della mattanza, ci aiuta a comprendere il perverso contesto in cui è stata pensata e attuata e soprattutto ci lascia il testamento morale di quell’uomo – meglio, di quegli uomini – affinché possa continuare a “camminare sulle nostre gambe“. E nel segno della memoria il 23 Maggio è una pietra d’inciampo incastonata nel calendario, sulla quale sono scolpiti i nomi di tutte le vittime della mafia, in più 2002 questa data ha l’onere e l’onore di essere celebrata come “Giornata della legalità”. 

Ma – ed è un bel “Ma” – succede che in certe circostanze le pietre d’inciampo vengano scavalcate a piè pari con il rischio alquanto concreto di piombare nei ricorsi storici, e quanto accaduto nell’ultimo mese al procuratore Gratteri concretizza abbastanza fortemente questo rischio. E dunque la sua mancata nomina da parte del CSM alla guida del DNA, decisione nella quale non s’intende qui entrarvi in merito ma che tanto ricorda il trattamento riservato dallo stesso Consiglio al giudice Falcone in occasione della sua mancata scelta a capo del Pool Antimafia con il quale era riuscito a portare Cosa Nostra alla sbarra; la retorica dello “sconfitto” con la quale professionisti e non dell’informazione hanno scelto di etichettare il procuratore negli articoli del giorno dopo, successivi alla nomina di cui sopra, che suonano tanto della stessa delegittimazione che ha lentamente ucciso Falcone e Borsellino, insieme alle notizie inquietanti che arrivano da oltreoceano che riportano di intercettazioni in cui si sia pianificato un attentato ai suoi danni, che parrebbe anche simile nelle dinamiche a quello avvenuto sull’Autostrada siciliana, sono pezzi di un puzzle che se si completasse farebbe sì che la memoria venisse svuotata del suo significato e confinata soltanto alle manifestazioni di rito, importantissime – ci mancherebbe – ma spesso occasione per le Istituzioni, che tanto si credono assolte ma comunque sono coinvolte, di ripulirsi la coscienza.

La storia è storia e volenti o nolenti la si manda giù per quanto amara possa essere, quello che non si può accettare è invece bere da un secondo calice ancora più amaro. E per quanto ci si ostini ad attribuirle il ruolo di magistra vitae spesso dei suoi insegnamenti siamo stati pessimi alunni. Dimostriamo stavolta che siamo stati “Capaci” di avere imparato qualcosa, non rendiamo vana la funzione della memoria. 

Il cratere generato dall’attentato

Pubblicato da Francesco Antonio Pollinzi

Caporedattore centrale.