Da Simeri Crichi al Nord, Il nostro compaesano Giuseppe nelle trincee degli ospedali Covid-19

Il nostro compaesano Giuseppe Pugliese

Sono trascorse tre settimane ormai da quando la situazione di emergenza nazionale ha iniziato a farsi sentire anche nel nostro paese. La gente è responsabile e limita al massimo anche le uscite di prima necessità, rispetta il proprio turno davanti ai negozi, vengono utilizzate le giuste misure di sicurezza e si aspetta un miglioramento per ritornare a ciò che si considerava normale.

È doveroso però, rivolgere un pensiero a chi è li fuori per assicurarci i beni per il sostentamento personale, dai commercianti ai corrieri, alle forze armate e alla polizia che controllano gli spostamenti sulle strade. 

Un grazie particolare va a chi è in prima linea con i pazienti affetti da Covid-19, a medici, infermieri, Oss ed a tutti gli operatori sanitari.

È motivo d’orgoglio essere a conoscenza che anche Simeri Crichi si è trovato, nella persona di Giuseppe Pugliese, a dare un contributo rilevante in quella che è stata classificata come la principale zona rossa d’Italia. Pugliese è cresciuto nel nostro comune fino all’età di 12 anni, età che lui definisce quella che «lascia segni indelebili nel carattere». Presta servizio da 27 anni all’ospedale “Bassini” di Cinisello Balsamo (Milano), centro ormai quasi esclusivamente “Covid-19”. È un operatore tecnico assistente, in continua collaborazione con medici e infermieri, preparando i presidi necessari per l’emergenza. Nello specifico in questo periodo, afferma che «si assemblano respiratori automatici e tutto ciò che necessita per i pazienti Covid-19, facendo molta attenzione a non interrompere la catena di sterilità delle varie attrezzature». Il suo contributo è altresì presente sotto quelle tende poste all’esterno dei pronto soccorso, la cosiddetta fase pre-triage, dove vengono raccolte le informazioni fornite dal paziente per poi essere indirizzato verso l’area di emergenza o in patologia generale. 

«Lavorando da anni nel pronto soccorso, sono stato testimone di diverse situazioni critiche: infarti, incidenti, ferite da taglio e da fuoco, ictus, emorragie – spiega il nostro compaesano – Non ho mai letto però, negli occhi dei pazienti, lo smarrimento di quest’ultimo mese». I pazienti difatti, così come abbiamo potuto ormai imparare dalle notizie diffuse dai notiziari, non possono essere accompagnati dai parenti all’interno dei reparti e per l’intera durata della cura. «Cercano in noi un punto di riferimento e un appiglio a cui aggrapparsi – ci dice Giuseppe – Spesso noi siamo le ultime persone che vedono, prima che la vita li abbandoni e tutto questo è molto stressante – aggiunge – perché sono consapevole che pur con tutta la buona volontà, non possiamo mai sostituirsi alle persone a loro care, ma ce la mettiamo tutta per accompagnarli con serenità ed empatia».

Parlando alla nostra redazione, Giuseppe ci tiene ancora a ribadire con orgoglio come nell’ospedale in cui opera, tutto il personale stia dando il massimo per essere d’aiuto alle persone in grave difficoltà. Il suo è un messaggio di speranza e ottimismo, «che tutto ciò possa finire al più presto consapevoli che lascerà in tutti noi una scala di valori diversa da quella finora adottata» e di poter presto ritornare nel suo paese di origine per abbracciare parenti ed amici.


Il nostro compaesano Giuseppe Pugliese

Pubblicato da Francesco De Francesco

Redattore.